IL CASO
Due cittadini installano sul muro perimetrale delle proprie abitazioni alcune telecamere regolabili a distanza per ripresa visiva e sonora, puntate aree aperte di pubblico transito. Alcuni abitanti e commercianti della zona presentano una denuncia querela, non accettando di essere osservati nelle loro attività lavorative e nei loro movimenti quotidiani.
Tali controlli venivano poi utilizzati per rimarcare la commissione di presunti illeciti che sarebbero stati perseguiti mediante esposti e denunce effettivamente poi inoltrati alle competenti autorità di Pubblica Sicurezza.

LA SENTENZA DELLA CASSAZIONE
Condannati in primo e secondo grado per violenza privata, la Cassazione ha assolto i due imputati dal reato di violenza privata, che punisce colui che, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa.
La Suprema Corte chiarisce che l’attività di videosorveglianza sulla pubblica via non costituisce di per sé attività illecita se effettuata a determinate condizioni, potendo invece costituire reato l’utilizzo successivo che di tali immagini viene fatto (laddove per esempio si voglia utilizzare le immagini per minacciare la persona ripresa o per indurla a determinati comportamenti non voluti, come il pagamento di una somma di denaro a fronte della cancellazione).
Nell’assolvere gli imputati, la Cassazione afferma però degli importanti principi relativi alla videosorveglianza e alle condizioni per poter essere considerata lecita anche se effettuata da privati sulla pubblica via.
Richiamando una sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (C. Giust. UE causa C-212/13 dell’11.12.2014.), i Giudici di Piazza Cavour hanno precisato che, ciò che in astratto è illegittimo, può essere considerato lecito se vi sia un legittimo interesse del soggetto che effettua la registrazione alla protezione dei propri beni come la salute, la vita propria o della sua famiglia, la proprietà privata.
In tali casi, il trattamento di dati personali può essere effettuato senza il consenso dell’interessato, se ciò è strettamente necessario alla realizzazione dell’interesse del responsabile del trattamento.
Al riguardo, la Corte di Cassazione osserva che i privati avevano pubblicato dei cartelli di avviso della presenza del sistema di videosorveglianza, in tal modo avendo così rispettato l’obbligo di preventiva informativa ai passanti dell’uso che sarebbe stato fatto dei rispettivi dati personali (immagine, voce) per esclusive finalità di prevenzione di condotte illecite.
(Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza n. 20527/19, depositata il 13 maggio 2019)
IL PARERE DEL GARANTE DELLA PRIVACY
Vista la sentenza della Corte di Cassazione in merito alla specifica questione del reato di violenza privata, va però tenuto presente che la videosorveglianza è soggetta a particolari condizioni e cautele che sono state nel corso del tempo specificate dal Garante per la protezione dei dati personali.
Con il parere del 7 marzo 2017, richiamando un provvedimento generale del 2010, il Garante ha precisato che la videosorveglianza effettuata da privati per finalità personali (come nel caso esaminato, per la protezione della proprietà) deve essere effettuata adottando particolare cautele a tutela dei terzi:
  • con particolare riguardo alla sicurezza dei dati conservati;
  • limitando per quanto possibile l’angolo visuale all’area privata da proteggere (per esempio il solo muro perimetrale e non la sede stradale, la porta di casa e non il pianerottolo);
  • oscurando le immagini della pubblica via che dovessero eventualmente essere riprese.
In tali casi, il Garante precisa che il trattamento di dati viene effettuato per finalità personali e non è dunque soggetto neanche alla preventiva informativa.
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