Con una recentissima sentenza, la Corte di Cassazione ha confermato che SMS e i messaggi WhatsApp hanno efficacia probatoria nel processo civile, vale a dire che possono essere depositati in giudizio sotto forma di “screenshot” (non c’è alcuna violazione della privacy nel caso si sia destinatari di tali messaggi) e il giudice li potrà valutare ai fini della decisione.

Come noto a tutti, l’utilizzo in particolar modo di WhatsApp è divenuto pressoché preponderante nelle comunicazioni personali e, anche grazie alla possibilità di utilizzo dell’applicazione su pc, ne sta aumentando l’uso in contesti professionali, anche per lo scambio di documenti.

L’utilizzo delle chat come prova giudiziale è oramai molto comune nei giudizi specialmente di separazione o divorzio, ma l’uso della piattaforma invalso di recente ne sta estendendo la funzione di prova anche in giudizi commerciali.

La Corte di Cassazione ha quindi affermato che i messaggi WhatsApp e gli “sms” conservati nella memoria di un telefono cellulare sono utilizzabili quale prova documentale e, dunque, possono essere legittimamente acquisiti mediante la riproduzione fotografica, con la conseguente piena utilizzabilità dei messaggi estrapolati da una “chat” di whatsapp mediante copia dei relativi “screenshot”, tenuto conto del riscontro della provenienza e attendibilità degli stessi.

In particolare, afferma la Cassazione, che il messaggio WhatsApp costituisce un documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti che, seppure privo di firma, «rientra tra le riproduzioni informatiche e le rappresentazioni meccaniche di cui all’art. 2712 c.c. e, pertanto, forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale viene prodotto non ne disconosca la conformità ai fatti o alle cose medesime»

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